sabato 20 dicembre 2014

Lo Hobbit - La Battaglia delle Cinque Armate - Recensione


Due anni fa feci pace con me stesso appena uscito dal cinema, dopo aver visto il primo film di questa nuova trilogia.
Mi dissi che ormai esisteva un Mondo di Tolkien, e un Mondo di Tolkien di Peter Jackson; non avrei dovuto preoccuparmi delle differenze, perchè, per quante libertà si fosse preso il regista, ero fiducioso che Jackson sarebbe stato in grado di fare un lavoro paragonabile a quello compiuto con la vecchia trilogia.
"Siete pronti all'ultimo viaggio nella Terra di Mezzo?" così recita lo slogan per "La Battaglia delle Cinque Armate".
Beh, io non sono pronto. Non sono pronto perchè il mio viaggio è finito nel momento in cui ho accettato che Jackson avesse ormai reso estraneo Tolkien a Tolkien stesso.

Saranno i soldi, sarà il senso di onnipotenza che sarebbe venuto a chiunque dopo essersi reso conto di aver trasposto con successo Il Signore degli Anelli in una pellicola, non so dirlo con certezza; so solo che questo nuovo tentativo ha fatto un salto nel vuoto, finendo per arrendersi alla forza di gravità, senza compiere il miracolo che tiene i primi tre film ancora  sospesi in aria, liberi.

Non servono a niente le canzoncine cantate dall'ex Pipino. Non serve a niente (tranne a farmi commuovere) il tema musicale degli Hobbit a sottolineare le genuine espressioni del nostro Bilbo; questo film rimane una tamarrata colossale.
Non c'è l'angoscia nel vedere risorgere il male, non si trattiene il fiato d'innanzi alla maestosità della natura, davanti alla tetra avanzata degli orchi, ridotti ad una marmaglia di computer grafica a cui neanche hanno aggiunto primi piani di volti caratteristici.

Soprattutto, non c'è quella delicata resa della magia, dell'equilibrio tra l'uomo e la natura, della dimensione umana, mortale ed immortale, fragile ed eterna che differenzia Tolkien da qualunque altro libro fantasy.
Tutto è rapido, tutto è veloce e approssimativo, tranne le violente ed assurdamente coreografiche battaglie tra i protagonisti e i nemici principali.

Questo film sembra un enorme cinematic promozionale da videogioco, dove non v'è altro che irrealistico massacro.
I lunghi piani aerei sui popoli devastati, la descrzione riuscita della precarietà della vita davanti ad un male così grande: tutto svanito.

Lo Hobbit è una favola. Una meravigliosa favola, leggera e vivace come Il Signore degli Anelli non sarà mai. E' il suo scopo, la sua natura; essere una storia genuina, avventurosa, e piena di buone, piccole cose che solo gli Hobbit possono riuscire a fare in un mondo così grande e spaventoso.

Proprio per questo, tentare di renderla un'enorme epica era uno sbaglio troppo grande per essere tollerato, tantopiù se quel tentativo si trasforma in una tediosa avanzata di tre ore per divertire il pubblico con Legolas che cammina sul nulla, scene graficamente meravigliose ma piatte come disegni, personaggi autentici usati male e personaggi inventati usati anche troppo.

Le poche cose riuscite, le poche che hanno avuto la fortuna di rimanere uguali, sono così sporadiche che non sono mai riuscite a convincermi della bontà di questo terzo episodio.

No, per me il viaggio è finito molto prima che questa trilogia si accorgesse di non poter volare.
E stavolta le aquile non sono servite a salvarla.

P.S.
AH, AD AVERLO SAPUTO PRIMA NON MI SAREI LAMENTATO DEGLI 8 EURI SPESI:

 AD UN CERTO PUNTO ARRIVANO DEI FOTTUTISSIMI CAPRONI DA GUERRA



Fate un po' che vi spostate, va'










giovedì 20 novembre 2014

Interstellar (e l'altro film che c'è dentro) - Recensione



Diciamolo subito: Interstellar è un gran bel film, e un film bello. Un film che non avrà più senso visto in tv, e che credo rimarrà visivamente imbattuto per molto tempo.
Quindi il fanta-mattone di Nolan è solo un puro spettacolo per gli occhi e l'animo? Con astronavi immerse nel silenzio totale dello spazio, una colonna sonora eccellente e nullapiù?

No, Interstellar è decisamente un film su tutti i livelli, o meglio; è due film.

Sì, perchè Nolan imbastisce una storia verosimile, in un futuro prossimo nel quale l'esplorazione dello spazio non è poi così lontana dai traguardi del mondo reale, e dove la razza umana si trova alle prese con il disastro ambientale irreversibile.
Ce ne dobbiamo andare, così lontano che anche una sola astronave impiegherà un tempo enorme e  incerto a compiere il suo viaggio.

Ecco, questo film ci mette davanti allo spazio aperto, profondo, dove la morte è l'unica cosa ad aspettare gli astronauti per milioni di chilometri al di fuori dell'astronave Endurance (omaggio alla nave con cui Ernest Shackleton compì un tentativo di viaggio al centro del polo Sud).
L'essere umano è un nulla lanciato nello spazio, e per due terzi del film si assiste a questo tipo di fantascienza claustrofobica ed angosciante, dove le vite umane e la loro durata sono schernite e scosse dalla legge della relatività e dall'immensità dell'universo.
madonna mia, l'ansia
(sì, quella è l'astronave dei protagonisti)

Poi accade qualcosa, e Interstellar, da odissea trascinata, finisce lui stesso in un paradosso spazio-temporale e diventa un altro film. Un film dove l'umano perde quasi tutta la sua impotenza nei confronti delle enormi forze che lo hanno minacciato per due ore buone di pellicola, e si trasforma in un finalone americanone dove le spiegazioni e le metafore sull'amore si sprecano a fiumi.

Interstellar va preso come un lavoro coraggioso, ma non abbastanza coraggioso da lasciare fuori tutte le belinate fondamentali per essere sicuri che lo spettatore U.S.A. uscisse fuori dalla sala contento e convinto di aver capito qualcosa.
Passate sopra il piccolo film scemo che c'è dentro, e vi godrete qualcosa di meraviglioso.


sabato 23 agosto 2014

ALS Ice Bucket Challenge - Non è una cazzata



Sì, io di solito sono esattamente come voi, super critici del web, di facebook (soprattutto), del mondo in generale.
Ho detestato l'Harlem Shake, detesto la parola "Selfie", e insomma, l'odio è tanto una bbella cosa!

Come mai odiamo questi fenomeni? La faccio veloce, che il punto è un altro.
Odiamo questi fenomeni perchè degenerano, perdono il senso che avevano all'inizio, smettono di essere divertenti o, come in questo caso, divertenti non lo sono neanche poi tanto.

Il punto è che, come dice questo articolo, l'Ice Bucket FUNZIONA PERDAVVERO:

Dite che è solo il nuovo "gioco paxerello dell'estate"?
Allora vi chiedo: quante celebrità di solito partecipano a cazzate di questo tipo? Nessuna? Poche?

La beneficenza è diventata una cosa virale tra i vip diverso tempo fa: va di moda, ti mette sono una luce positiva, e permette di farsi pubblicità donando dei soldi che servono veramente a qualcosa.

Vi faccio notare che moltissimi personaggi famosi precisano nei loro video come la secchiata d'acqua gelata sia solo il contorno al gesto più importante, cioè la donazione alle associazioni che combattono la sclerosi.

Lo ha fatto Dave Grohl, dei Foo Fighters:





Lo ha fatto con grande stile Charlie Sheen, attore amerregano:



Perchè alla fin fine, lo ripetiamo, L'ice Bucket Challenge sta funzionado, anche se non tutti quelli che fanno il video donano poi qualcosa realmente.

E se lo fate senza donare uno spicciolo per prendervi i "mi piace" su Facebook, allora sarete sì solo degli stronzi con un secchiello in mano, ma se state lì a scavarvi nell'ombelico e a lamentarvi perchè finalmente qualcuno è riuscito a usare Internet per una causa utile, nonostante come al solito la cosa degeneri e qualcuno distorca lo scopo del gesto, allora siete solo degli stronzi, senza neanche secchiello in mano.










sabato 5 luglio 2014

IN REQUIEM (o forse no)






  Sì, ok, vi ho fregato col titolo, perchè questo articolo non sarà un ritratto in onore di Faletti.
Ora, se siete quel fantomatico "popolo del web che si indigna" potete indignarvi adesso e chiudere il post subito dopo, ma, se non lo siete, statebbuoni e leggete.

Io non trovo sia sbagliato ricordare un personaggio, pubblico o meno, alla sua morte.
Tipo rimandare vecchie interviste, documentarsi su quello che ha scritto e così via.
Certo, lo trovo più sensato e naturale se quel qualcuno è Gabriel Garcia Marquez e non Giorgio Faletti (che, buonanima, viene citato in questi giorni per una frase che ha recitato in NOTTE PRIMA DEGLI ESAMI, SCRITTA DA CHISSACCHECCAZZO DI CANE DI SCENEGGIATORE E NON DA LUI), ma comunque rimane giusto a prescindere dalla caratura del morto, perchè quando muore qualcuno automaticamente scatta in noi il senso del tempo, e rendendoci conto che passa sentiamo lo stimolo di rimettere insieme e scoprire i pezzi di vita di una persona che è defunta e che quindi non farà mai più nient'altro di materialmente concreto che non sia concimare un prato.

Lo faccio anche io, e se prima mi punivo mentalmente dandomi del semplicione, ho poi spiegato a me stesso quello che ho spiegato a voi poche righe sopra e ho deciso di fare pace col mio cervello.


LA BIG DIFFERENCE tra celebrare qualcuno o ricordare qualcuno, sta nel fatto che quando muore una persona, esempio Faletti, c'è chi sente il bisogno di scoprire cosa ha scritto, recitato, costruito, progettato durante la sua vita e chi sente il bisogno di trasformare l'ormai cadavere (sempre Faletti, per i meno svegli) in una "icona a tutti i costi".

Così si cerca di tirare fuori tutte le frasi migliori (secondo un criterio di scelta soggettivo e discutibilissimo) del poveretto in questione, passando da Mandela a Simoncelli, da Don Gallo al primo ultras a cui hanno spaccato la testa, finendo per creare un corollario di minchiate a cui fa capo il sommo principio:


"DEI MORTI NON SI PARLA MALE"


Sapete una cosa? A me "Cent'anni di Solitudine" non sta piacendo. Marquez era noioso.
E Faletti era un bravo scrittore e attore, non un arcangelo.

Provocazione, tanto per chiarire che tra parlare male dei morti e scongiurare il pericolo di farlo incensandone la memoria in modo eccessivo e stupido, ci sta di mezzo l'onestà intellettuale propria e quella del poveraccio morto che finisce nelle nostre immagini del profilo.









giovedì 12 giugno 2014

Perchè Paolo Ruffini è un povero stronzo





E' tutto un gran dire sul comportamento di Ruffini alla serata del David.


Tralasciando che bisognerebbe malmenare nel retro di un furgone arrugginito chiunque abbia proposto Paolone come presentatore, perchè sarebbe bastato dare un'occhiata ad una puntata qualsiasi di Colorado, o alla sua schiena, per togliersi ogni dubbio e anche beccarsi un principio di cancro alla prostata, e veniamo al dunque.


No sul serio,perchè?

Ruffini ha cercato di recitare brillantemente il ruolo di conduttore simpatico e pungente, forse mirando ad emulare Benigni quando si infilava sotto le gonne a Sanremo, ma finendo per assomigliare di più ad un Teo Mammuccari mischiato con Carlo Conti. Sì, il Male incarnato.

A parte aver trattato con eccessiva confidenza attori e registi, ha pure dato della "Gran Topa" alla Loren, che ha elegantemente glissato sulla dichiarazionne e non ha cagato di striscio il selfie, come se Ruffini fosse stato un piccione semi-divorato sull'asfalto.

Vi metto il video in questa scritta

Ad un certo punto inquadrano Pif, ed è come guardarsi allo specchio. Stai lì pietrificato e guardi sto poveretto fare brutte figure una dopo l'altra, mentre sono tutti troppo impegnati a cercare di capire cosa sta dicendo o cosa sta cercando di fare, per reagire e rispondergli per le rime.
Alla fine ci pensa Valerio Mastandrea, che prende parola senza concedere spazio al nostro e lo rimette al suo infimo posto con un paio di frasi camuffate da scherzo bonario.


Comunque, in due parole che la abbiamo già tirata per le lunghe.
Perchè Ruffini è così sgradevole?
Semplice: non ha un briciolo di talento comico.
Niente di peggio di vedere qualcuno non simpatico che cerca di fare il simpatico, in più comportandosi come un ragazzino di tredici anni.
Cerca di essere comicamente fuori luogo, e diventa tragicamente fuori luogo
.

Aggiungici che, presentando una premiazione sul mondo del cinema, ed essendo stato il tuo unico film "una cagata pazzesca!", forse l'ultima cosa che puoi permetterti è di fare lo splendido con gente che vince premi e che viene riconosciuta all'estero.


Insomma, un autentico Povero Stronzo.
#solocosebelle #ècosì #puppa





mercoledì 30 aprile 2014

CAPAREZZA - MUSEICA - RECENSIONE




Con cosa lo confrontiamo? Con Il Sogno Eretico? Con quelli prima? Con gli altri "rapper"?

Caparezza è sempre uguale a se stesso e sempre diverso.
Scrive un album sull'arte, una roba folle, che mette alla prova la sua abilità nei giochi di parole come non era mai successo.
Ci riesce, come al solito.
Tante espressioni non sono proprio freschissime e si sente che hanno già qualche giorno fuori dal frigo, ma il rischio di essere banale non tocca mai il Capa: il suo è uno stile ben definito, curato e squisitamente impregnato di autoironia pop.

Quando sembra che l'album vada cacciato giù dal water etichettandolo come una sbrodolata dell'orecchiabilissimo album precedente, ci si rende conto che le canzoni sono sì meno immediate, ma perchè ci ha viziato per anni con ritornelli facili.

L'arrangiamento è riuscito comunque. Fidatevi.

E' cattivo, old school, veloce, punk rock; attinge alla meravigliosa, gloriosa orrente del crossover, dell'hardcore (no, non quello di Salmo) e si stente benissimo in pezzi come "Mica Van Gogh" e "Giotto Beat".

Ora ricapitoliamo: Un album sull'arte, di Caparezza, con i testi del miglior rapper d'Italia, con il flow migliore d'Italia, con un senso complessivo dell'album che va oltre il "figa boh" e il "sono meglio di te, stronzo".

Se siete di quelli che citano Club Dogo
e similia su Facebook...
beh, siete gli squisiti protagonisti della traccia n°3. (nascondetevi)


E' un ottimo album in generale; meno orecchiabile, con meno singoli perfetti, sperimentativo e retrospettivo.
Ma, soprattutto, è un ottimo album hip hop.

Fossi voi non mi lamenterei, perchè Caparezza è cioccolato in mezzo alla merda.


domenica 2 marzo 2014

LEGO MOVIE: il nuovo film di Batman





Esce un film sui Lego. Fatto coi Lego. Ha una trama, ma fortunatamente questa trama parla di Lego, del costruire coi Lego e anche dell’etica dei Lego.
Lego Lego Lego.

Lego Movie è un film; l’avreste mai detto, dal titolo? Forse sì, ma io intendo dire che è un film nel vero senso della parola.
Mentre trotterellavo contento verso il multisala disumanizzante pensavo di trovarmi a pagare un fracco di soldi per una versione in lungo di tutte quelle robe in stop motion che girano da anni su youtube misto agli intermezzi video comici dei videogiochi a tema mattoncini colorati.
Insomma, una cosa leggermente pesantissima.

Ed effettivamente la prima impressione è stata quella di un film girato coi Lego, pensampo’, ma un film che parte come tale e va avanti come tale: c’è un inizio, una trama, e una fine.

Il motivo per cui questa roba qui non è diventata una zuppa valdostana di quelle dove ti rimane il cucchiaio in piedi quando lo immergi, è che è un film fatto sul costruire con i Lego.
I protagonisti sono capaci di tirare su moto fighissime, astronavi retrò e altre belinate vorticandovi intorno come solo MacGyver sotto cocaina sarebbe in grado di fare. Inseguimenti, combattimenti, spiegamenti, rudimenti, ferramenti, tutto condito da tonnellate di pezzetti, fedelissimi alle versioni di plastica, che cadono e rotolano in mezzo allo scenario, vengono riassemblati in maniere sempre più assurde e fantasiose, creando un piacere visivo incredibile e che non stanca mai.



  I personaggi sono belli e simpatici, fanno ridere, piacciono a grandi e piccini, grazie ad una comicità su più livelli che coinvolgerebbe per forza anche una plafoniera piena di moscerini morti.
Un discorso a parte va fatto per le “guest star” del film: ci sono numerosi cameo di personaggi delle saghe fantasy e dei fumetti più famose, che sono sempre sul bordo del “nonc’entrouncazzo”, ma si salvano proprio perché a tirarli in qua dal baratro ci pensa il carisma dei personaggi creati ad hoc del film (ne riparliamo dopo che avete visto il meraviglioso pirata-cyborg).

Un discorso a parte del discorso a parte sulle “guest star” è per Batman.
Ok, Batman. Mh, vedrai che tra un paio di scene sparisce, dopotutto di cazzate ne ha già dette troppe.
No eh? Ok.
Batman rimane in mezzo ai piedi fino alla fine del film, tirandosi dietro TUTTI i giochi di parole e le robe da memes che quelle galline urlanti dei fan di Brus Uein producono sul web.
Fortunatamente questo compendio di prese in giro del pipistrello è l’unica cosa che lo salva anche lui dal “c’entrareuncazzo”

E poi c'è il vero motivo per cui Lego Movie va visto.
Chi non ha mai giocato coi mattoncini può anche smettere di leggere, fanculo, buona serata, avete avuto una merda d’infanzia.

E voi che ci giocavate? Ricordate il senso di colpa nell’aver sfasciato in mille pezzi quelle belle costruzioni precise uguali ai libretti delle istruzioni, magari appena regalativi dai vostri nonni o zii, genitori preferiti?
Vandali, non sapete godervi le cose così come ve le donano. Non vi sapete accontentare, dovete sempre rovinare tutto e mischiare tutti i pezzi che non si capisce più niente.

C’ero arrivato dopo dieci minuti di film, ma poi tutto viene chiarito anche per l’americano più scemo in un finale cambiapuntodivista che salva una trama sennò banaluccia.

Il punto da lacrimoni del film arriva a coccolarvi la coscienza proprio per salvare dalla tempesta un finale che sarebbe stato altrimenti un po’ sciatto e privo di quell’anima che solo un bambino (…)
è capace ad attribuire alle costruzioni più belle del mondo.

Grazie Lego, grazie Lego Movie: mai più rimorsi di coscienza, io sono un maestro costruttore!